L’onda sulla Muzza

La forma libera e morbida del mantello leggero regala trasparenze cangianti e caratterizzanti che si sposano perfettamente con il cielo lombardo, l’aria della bassa padana e l’acqua del Canale della Muzza in un rapporto dicotomico tra contrasto ed armonia. Il progetto riguarda l’area della ex centrale di compressione e trattamento di gas naturale di ENI. La necessità di armonizzare i tre lotti – quello centrale, il cluster A (a Est) e il cluster B (a Nord-Est) – con il contesto naturale ed antropico viene assolta in maniera congiunta da espedienti vegetativi e architettonici. La cortina continua arborea in filari di pioppi cipressini cela la centrale durante le stagioni in fiore, mentre, durante l’inverno, nel periodo di abscissione delle foglie, questo compito viene assolto dalla vela multicolore.

I tamponamenti verde acqua in calcestruzzo prefabbricato con doppia finitura – verticale rugosa e cartapesta – vengono attenuati nella loro rudezza dall’onda esterna che permette di ridonare compostezza formale allo spread disorganico dei volumi disposti sul lotto trapezoidale. La variazione di colori oscillante tra l’azzurro e il grigio permette la fusione senza soluzione di continuità dell’opera antropica tra lo skyline e il canale, così come richiesto da brief di progetto. La lamiera stirata in alluminio anodizzato copre la fascia superiore delle facciate lasciando libero l’accesso pedonale e carrabile a terra grazie a connessioni puntuali dei pilastri al suolo, risolte tramite piccoli plinti in calcestruzzo su cui si innestano micropali di fondazione. La struttura è formata da tubolari di acciaio D.N. 150 per i pilastri e i traversi, mentre doppi profili ad L o tubolari fungono da controventi nelle campate laterali. All’interno delle 90 tonnellate di acciaio complessive sono incluse le reticolari orizzontali poste in sommità per collegare la quinta esterna ai corpi di fabbrica e le piastre per le unioni bullonate M16, scelte per garantire la massima reversibilità dell’opera. I 2.500 mq di rete stirata sono suddivisi in pannelli di altezza fissa e larghezza massima 120 cm che si alternano a gruppi di quattro per un totale di 480 cm, in modo da semplificare le operazioni di montaggio. I pannelli sono nervati unidirezionalmente per permetterne la doppia curvatura data dall’inclinazione dei pali e dalla forma mutevole e fluida della pelle esterna. Questa leggerezza aeriforme ben si integra con il contesto, evitando il contrasto ispido tra la rigidezza dei volumi in calcestruzzo e l’ambiente naturale, soprattutto a grande distanza.

Effetto simile è stato ricercato per i rivestimenti in acciaio delle scale di sicurezza, mitigate da profili scatolari di colore chiaro. L’utilizzo di un materiale standard, infine, valorizza la relazione tra involucro e contenuto esplicitando il livello di lettura funzione-macchina, il quale denuncia la tipologia di attività svolta all’interno tramite la fisionomia esteriore. La scelta di una soluzione Hi-Tech, in apparente contrapposizione con la necessità di armonizzazione evidenziata dall’analisi paesaggistica, risulta invece vincente, così come si vince in particolare dalla vista sul canale Muzza, poiché evita l’effetto box-in-abox tipico dei rivestimenti ex-post. Il risultato è un’opera che si fonde nel contesto, riflettendosi nelle cque dell’antico corso d’acqua, e sfuma nel cielo cangiante della pianura padana. Un esempio di come un semplice espediente quale una quinta architettonica sia in grado di legare un’opera fortemente antropica all’interno di un contesto naturale.

Cantiere & Disegni: